mercoledì 17 aprile 2013

Il Tao Della Fisica di Fritjof Capra - Recensione



Si tratta di un’opera straordinaria, nel suo genere forse unica. Credo, che ad un testo del genere ci si debba arrivare per passione o per ricerca e non per curiosità. D’altronde non lo scopro certo io questo gioiello pubblicato nel 1975 e giunto sotto i miei occhi addirittura alla sedicesima edizione dell’Adelphi. È un libro difficile, difficilissimo per chi come me è privo di una preparazione scientifica sufficiente. Eppure lo ho divorato, faticando, con piacere, dietro alle più elaborate teorie della fisica moderna. Da catalizzatore e propellente, senza dubbio, ha agito la personale passione per il misticismo orientale di cui l’autore è sapiente cultore.
Proprio questa l’audace intuizione del fisico americano: l’occidente con il progresso, il tecnicismo e la ricerca razionale, l’oriente con il misticismo e lo scandaglio della coscienza umana sono giunti alle medesime rivelazioni, esistono analogie innegabili tra le scoperte scientifiche del ventesimo secolo e i più celebri insegnamenti orientali quali buddhismo, induismo e taoismo. Delle similitudini tanto forti che è a volte impossibile riconoscere se una frase sia stata pronunciata da un mistico o da uno scienziato. Questi due stralci sul limite intrinseco del linguaggio sono impressionanti, l’uno si rivolge alla fisica subatomica, l’altro all’illuminazione:
“I problemi del linguaggio sono qui veramente gravi. Noi desideriamo parlare in qualche modo della struttura degli atomi…Ma non possiamo parlare degli atomi servendoci del linguaggio ordinario” W. Heisenberg
“La contraddizione, che tanto sconcerta il modo di pensare ordinario, deriva dal fatto che dobbiamo utilizzare il linguaggio per comunicare la nostra esperienza interiore, la quale per sua stessa natura trascende la possibilità della lingua” D. T. Suzuki.
Sembra impossibile assimilare mondi storicamente tanto antitetici. Da una parte la ragione, il calcolo, il progresso tecnologico; dall’altro, l’intuizione, il silenzio, la meditazione. E pure quello che Capra coglie è proprio una congiunzione tra opposti, un ponte strabiliante tra due mondi tanto, apparentemente, diversi, espressione entrambi dell’evoluzione millenaria di due modi differenti di intendere la vita.
Lo studio delle particelle subatomiche ha portato la scienza ad una serie di controsensi che il misticismo orientale da anni esprime con frasi e simboli apparentemente, appunto, privi di senso.Restare tanto generici facilita la comprensione d’insieme ma non rende adeguato lustro all’importanza ed al fascino del messaggio di Capra. Possiamo dividere la storia della fisica moderna in due grandi periodi: la fisica classica meccanicistica: Newton; la fisica moderna quantistica e relativistica: Einstein.
La fisica classica ha orientato il pensiero finanche filosofico per più di tre secoli. Secondo questa concezione esistevano degli elementi primi, materiali, che si muovevano nel tempo e nello spazio, entrambi assoluti. Era un modello del tutto uguale a quello degli atomisti greci da Democrito in poi. In aggiunta c’era il concetto di gravità, cioè la reciproca attrazione tra corpi dotati di massa. Le equazioni così create sul moto dei corpi sono diventate la base della meccanica classica; esse furono considerate le leggi immutabili secondo i quali si muovevano i punti materiali e si pensò dunque che potessero spiegare tutti i mutamenti osservati nel mondo fisico. Queste leggi furono applicate con successo all’astronomia, poi al moto continuo dei fluidi e alla vibrazione dei corpi elastici, infine al calore. Nell’Ottocento si era così giunti alla conclusione che le leggi newtoniane definissero la teoria assoluta dei fenomeni naturali. L’universo intero come un enorme orologio meccanico rispondeva alle medesime leggi “oggettive”. Poi accadde qualcosa che fece traballare questo edificio monumentale, accadde prima di Einstein: Michael Faraday, muovendo una calamita vicino ad una bobina di rame, portò la scienza ad una svolta: l’elettromagnetismo e l’elettrodinamica. Insieme a Clerk Maxwell si spinse con successo oltre le colonne della fisica newtoniana. Al concetto di forza si sostituisce quello di campo. Ma la soggezione impedì a queste teorie di prendere il giusto spazio, lo stesso Maxwell cercò di dare una spiegazione meccanicistica alle sue scoperte.
Bisognerà aspettare Albert Einstein per la rivoluzione. Nei primi trent’anni del Novecento furono ribaltate tutte le certezze della fisica classica. Nel 1905, con due articoli sensazionalisti, il giovane Einstein picconava la fisica alle sue radici: demoliti i concetti di spazio e tempo assoluti, quello di particelle solide elementari e l’ideale di una descrizione oggettiva della natura.
Il primo articolo dava il via alla teoria della relatività, il secondo avviava l’immensa ricerca sulla fisica quantistica. La concezione meccanicistica resta valida per la zona “delle medie dimensioni” cioè nella nostra realtà quotidiana. Ogni volta, però, che indaghiamo sull’infinitamente grande o piccolo, in cosmologia o in fisica atomica, le leggi newtoniane perdono di valore. La forza di gravità, infatti, spiega Einstein, ha l’effetto di curvare lo spazio ed il tempo. Questo non è riproducibile attraverso la geometria euclidea esattamente come un quadrato non può essere riprodotto su una sfera. Un pianeta curva lo spazio circostante in modo proporzionale alla massa del proprio corpo. Modificando lo spazio modifica inevitabilmente anche il tempo, le due entità prima assolute ed indipendenti diventano ora coincidenti e relative: «L’intera struttura dello spazio-tempo dipende dalla distribuzione della materia nell’universo e il concetto di "spazio vuoto" perde di significato».    

Ma passiamo all’atomo nello specifico. Se un’arancia raggiungesse le dimensioni della terra, i suoi atomi sarebbero grandi come ciliegie. Il nucleo che sta all’interno dell’atomo è a sua volta così microscopico che per portarlo al livello di un granello di sale dovremmo ingrandire la ciliegia-atomo fino alle dimensioni della cupola di San Pietro. Intorno al nucleo gravitano gli elettroni, al suo interno invece troviamo protoni e neutroni. I rapporti tra questi diversi costituenti portavano i fisici ad incredibili ed inspiegabili paradossi. Tutto ciò che valeva per la “dimensione media” perdeva di significato. Si entrava nel mondo della contraddizione, dell’irrazionale. Il concetto di particella e di onda, nella fisica subatomica, finisce per coincidere. Proprio così: a seconda del metodo di osservazione le unità subatomiche ci appaiono ora come particelle, ora come onde elettromagnetiche. <La materia non si trova con certezza in luoghi ben precisi, ma mostra piuttosto una “tendenza a trovarsi” in un determinato luogo>. Per onde si intende così non le onde tridimensionali della fisica quantistica bensì delle “onde di probabilità”. Con i quanti, scopriamo che non esiste un “mattone fondamentale” della materia ma tutto è il risultato di combinazioni energetiche. Ogni cosa interagisce con l’altra in una complessa rete di interazioni cosmiche. Nella fisica moderna l’universo ci appare come un tutto dinamico, inseparabile, che non può mai prescindere dall’osservatore che ne è parte integrante.

Queste incredibili rivelazioni comportano delle similitudini rivelatrici con l’insegnamento Induista, Buddhista, Taoista e Zen. L’unità di tutte le cose è il fondamento insostituibile di queste scuole di pensiero. Capra insiste in particolare sul Tao, la Via della Saggezza Cinese risalente al VI secolo A.C. Il Tao diffida dalla conoscenza e dal ragionamento, perché l’intelletto umano non può mai penetrare a pieno la realtà. Per i Taoisti tutti i mutamenti in natura sono manifestazioni dell’interazione dinamica tra opposti (yin e yang). Storicamente, la mescolanza dell’insegnamento Taoista a quello Buddhista diede vita, nel Giappone del tredicesimo secolo d.C., allo Zen, “la disciplina dell’illuminazione”, di natura squisitamente pratica, fondata sul rifiuto di ogni concettualizzazione. Da qui, i limiti intrinseci del linguaggio di cui parlavamo prima. Le parole non sono in grado di esprimere la realtà. “Nel momento in cui parli di una cosa, essa ti sfugge”. E per farlo non si può che ricorrere a Koan, rompicapi illogici basati sul paradosso: “Colui che sa non parla, colui che parla non sa”. Questa intuizione mistica per l’interazione dinamica tra opposti, così distante dalle categorie di pensiero occidentale precedenti ad Einstein, sembra ora imbarazzante anticipatrice delle parole dello stesso scienziato: “Nella misura in cui le proposizioni matematiche si riferiscono alla realtà, esse non sono certe; e nella misura in cui esse sono certe, non si riferiscono alla realtà”. Praticamente un Koan.  

Quando ci concentriamo, focalizzando l’attenzione su qualcosa, noi isoliamo quella cosa arbitrariamente dando vita, arbitrariamente, al suo opposto. Si tratta di un atto artificiale, la nostra tendenza a dividere, per capire, ci porta a perdere la veduta d’insieme, a smarrire l’unità intrinseca di tutte le cose. Solo così possiamo approcciarci al principio di indeterminazione (Heisenberg)della fisica moderna: Nel mondo subatomico, non possiamo mai sapere contemporaneamente la posizione di una particella e la sua velocità. Tanto meglio conosciamo l’una, tanto più è approssimativa la conoscenza dell’altra. Tale incertezza è estendibile anche ad altre coppie di concetti. Si parla in tal senso di complementarietà degli opposti ricorrendo ancora una volta ad archetipi dell’antica saggezza orientale, si pensi allo yin e lo yang.
Da qui, Capra, si inoltra nell’argomento forse più affascinante: lo spazio ed il tempo.
Si è arrivati, anche in occidente, a considerare i “concetti” parti della mappa, non del territorio; cioè creazioni della mente. Così, gli stessi spazio e tempo sono costruzioni astratte dell’intelletto umano. La filosofia orientale, diversamente da quella greca, ha sempre sostenuto questa tesi “Il Buddha insegnava che il passato, il futuro, lo spazio fisico,… e le singole cose non fossero che nomi, forme di pensiero…realtà puramente superficiali” (Madhyamika Karika Vrtti). Il primato della geometria sembra essere stato superato dalla fisica moderna, che ne riconosce, dopo Einstein, i limiti. Dopo la teoria della relatività è stato rivelato che non esiste uno spazio tempo indipendente dall’osservatore. La frase pronunciata dal fisico Sachs nel 1969 sembra un plagio: “… la teoria della relatività suggerisce che le coordinate di spazio e tempo sono soltanto elementi di un linguaggio che viene usato da uno osservatore per descrivere il suo ambiente”. 
Nella fisica moderna non è dunque più possibile parlare di spazio senza prendere in considerazione il tempo, e viceversa. I due concetti, unificati, costituiscono la così detta quarta dimensione, ancora una volta ci viene incontro l’antica Sapienza orientale, D. T. Suzuki cerca di descrivere lo stato di illuminazione: “…Ci guardiamo intorno e sentiamo che…ogni oggetto è connesso con ogni altro oggetto…non solo spazialmente, ma temporalmente…Come realtà di pura esperienza, non c’ è spazio senza tempo, non c’è tempo senza spazio; essi si compenetrano”.
Così, incredibilmente, Hermann Minkowski nelle celebri parole del 1908:
“…D’ora in poi lo spazio ed il tempo di per se stessi sono condannati a svanire in pure ombre, e solo una specie di unione tra i due concetti conserverà una realtà indipendente”.
L’universo è dunque dinamico, un perenne scorrere, la stasi non è che creazione della mente, quella che gli Induisti chiamano Maya. Nulla può essere osservato se non nel suo divenire, nella sua danza cosmica di contrazione ed espansione. Nella fisica post-einsteiniana è stato appurato il medesimo fenomeno. Non esiste un costituente primario della materia, essa, a livello subatomico, è la risultante di interazioni, di scontri tra flussi di energia. Questi processi dinamici sono in grado di creare ora energia cinetica, ora massa fondendo, ancora una volta, i due concetti, si è giunti ad un’equivalenza tra massa ed energia. Non si può parlare più di una “cosa” ma dovremmo parlare di un “evento”, poiché le parti più piccole di materia non sono che interazioni reciproche tra particelle a loro volta risultato di altre interazioni. Non si può più parlare di spazio vuoto e materia ma solo di campo. “Il campo è la sola realtà”. La materia può in questo senso dirsi un difetto (addensamento di energia) del campo invisibile soggiacente. Ancora nelle parole di un mistico, il Lama Govinda, possiamo scorgere la descrizione dei fenomeni della fisica quantistica: “La relazione tra… forma e vuoto non può essere concepita come uno stato di opposti escludentisi a vicenda, ma soltanto come due aspetti della stessa realtà che coesistono e cooperano incessantemente”.
La fisica è arrivata così a parlare di “vuoto vivente” ossia di una danza cosmica pulsante in ritmi perpetui di creazione e distruzione. Quasi scontato sottolineare quanto il concetto di danza cosmica sia familiare alle scuole filosofiche orientali.
La similitudine di Capra si spinge poi oltre arrivando a postulare come nuovo koan le simmetrie dei quark, vengono così analizzate nel dettaglio le differenti configurazioni che possono assumere le interazioni di particelle subatomiche, sottolineando l’impressionante armonia del mondo dei quanti. Un’armonia cosmica di cui sono espressione i più differenti simboli Induisti, Buddhisti e Taoisti. Anche qui similitudini e comparazioni forse forzate, forse geniali; come quella più eclatante tra “la teoria della matrice S” e “l’I King”, entrambe si rivolgono a processi non ad oggetti, entrambe ritengono impossibile separare l’osservatore da ciò che osservato. Anche a questo è giunta la fisica moderna: ogni qual volta osserviamo un fenomeno, interagiamo con esso, divenendo parte integrante del fenomeno da noi osservato.
Nella conclusione del saggio Capra tira le somme e definisce, dopo tante affinità, una differenza fondamentale tra la scienza e il misticismo: “Nella concezione orientale, quindi, come in quella della fisica moderna, ogni cosa dell’universo è connessa ad ogni altra cosa e nessuna sua parte è fondamentale…Sia i fisici che i mistici riconoscono l’impossibilità che da ciò deriva di spiegare pienamente un qualsiasi fenomeno, ma poi assumono atteggiamenti diversi. I fisici si accontentano di una conoscenza approssimativa della natura i mistici orientali, al contrario, non sono interessati alla conoscenza ‘relativa’ ma vogliono raggiungere la conoscenza ‘assoluta’, la quale comporta una comprensione della totalità della vita”. 


a cura di I.R.

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