martedì 2 luglio 2013

Alice Nel Paese Delle Meraviglie - di L.Carroll

Pensare agli effetti di una realtà allucinatoria è immaginare una nuova articolazione delle categorie dello spazio, del tempo e di ogni altro aspetto connesso alla tangibilità. Per descriverlo, invece di ricorrere alle sofisticazioni della metafisica, basta il potenziale della narrativa, se lo scrittore è Charles Lutwidge Dodgson, meglio conosciuto come Lewis Carroll, autore di Alice nel paese delle meraviglie, edito da Feltrinelli e disponibile su Feltrinelli.it a soli € 5,25.

Molti individuano nell’opera gli elementi della retorica disneyana, niente di più diverso e lontano dai significati del testo. La sua complessità ha reso difficile la traduzione in italiano, consigliamo infatti ai nostri lettori un acquisto in lingua originale, data la ricchezza polisemica dei giochi di parole, dell’uso di luoghi comuni, delle immagini evocative e dell’interpretazione della cultura popolare inglese.

“«Se ognuno si facesse i cavoli suoi,» ringhiò la Duchessa inviperita, «il mondo girerebbe un bel po’ più svelto.» «Il che non ci porterebbe affatto avanti,» disse Alice, felice di poter esibire un assaggio della sua cultura”. Il racconto Alice nel paese delle meraviglie si è prestato a letture sociali, pedagogiche, data la sua natura fiabesca, e satiriche. Interpretazioni diverse, accomunate, però, da un filo comune teso alla sconfessione dei rigidi precetti dell’Inghilterra vittoriana, delle ipocrisie sociali del tempo, senza per questo rinunciare al gusto dell’assurdo. Aspetto sul quale alcuni interpreti hanno voluto scorgere gli effetti allucinatori dell’oppio, sostanza moto diffusa nell’alta borghesia dell’epoca.

Al di là delle tecniche sfruttate nell’emersione delle capacità creative dell’artista, il racconto alterna un’ambivalenza che si sposta dal freddo raziocinio matematico alle fascinazioni dell’illusione, il piacere di sconvolgere le regole della stessa matematica e dell’organizzazione del mondo. Un dio nuovo abita il cosmo di Alice.

“Alice cominciava a sentirsi assai stanca di sedere sul poggetto accanto a sua sorella, senza far niente: aveva una o due volte data un’occhiata al libro che la sorella stava leggendo, ma non v’erano né dialoghi né figure, – e a che serve un libro, pensò Alice, – senza dialoghi né figure?”. L’imperio dell’assurdo va oltre i vincoli della satira, sebbene presente in numerosi passaggi ed evidente nella definizione plastica delle figure. C’è qualcosa di più, quello scarto che rende percepibili, come se fossero veri, i drammi emotivi della protagonista. Nella fantasia c’è bene e male, niente da provare con il misurato distacco che hanno le storie dell’assurdo totale. E neppure il riso amaro della satira s’attanaglia fino in fondo ad Alice nel paese delle meraviglie. Vi sono frammenti di genere manipolati, usati in dosi e proporzioni utili alla poetica propria di Carroll.

È palese la critica alla pedagogia, alla letteratura per l’infanzia, all’assurdità del mondo adulto, denso di incoerenti prescrizioni verso il bambino. Manifesti anche gli enigmi matematici, come possiamo rilevare all’inizio del secondo capitolo (“Un lago di Lacrime”). Vorremmo però che il lettore non si lasciasse consigliare da un approccio prevenuto, ritenendo, a priori, di poter cogliere una coerenza rispetto a quella o quell’altra costante. Carroll invita invece all’immedesimazione in una bambina, momento di definizione dell’individuo completo e delle sue nevrosi, per scorgere una destrutturazione del reale. Processo di spoliazione realizzato, per convesso, mediante la sommatoria dell’assurdo.


a cura di Iacopo Bernardini

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