LA TESTA DI MORTO
(Acherontia Atropos)
(Acherontia Atropos)
da INFERNO
di AUGUST STRINDEBERG
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L’arborella, che vive alla superficie delle acque, e quasi
fuori, ha i fianchi bianchi argentei, il solo dorso è blu. La lasca, che cerca
le acque basse, comincia a prendere colore verde-mare. Il pesce persico, che si
tiene a profondità medie, s’è già scurito e le sue striature laterali
riproducono in nero le fioriture dei flutti. La capra e il pesce passera, che
scavano nel fango, ne prendono il colore verde-oliva. Lo sgombro, che prospera
nelle regioni superiori, riproduce sul dorso i movimenti delle onde, come
farebbe un pittore di marine. Ma lo sgombro dorato guizzante tra le ondate i
cui spruzzi tagliano i raggi del sole, è stato tinto dall’arcobaleno, su fondo
oro e argento…
Che cosa è tutto questo, se non fotografia? Sulla sua lastra d’argento, che sia
cloruro, bromuro o ioduro d’argento, visto che l’acqua di mare si presume
contenere questi tre alogeni, o sulla lastra albuminosa o meglio gelatinosa,
impregnata d’argento, il pesce condensa i colori rifratti dall’acqua. Immerso
nel rivelatore, solfato di magnesio (-ferro), l’effetto in statu nascenti è così energetico che l’eliografia si produce
direttamente. E il fissatore, l’iposolfito di sodio, non deve trovarsi molto
lontano, per il pesce che nel cloruro di sodio e nei sali solfati ci vive e
che, d’altronde, si porta dietro la sua provvista di zolfo.
E’ questo più che una metafora? Certo! Ammesso che l’argento delle scaglie del
pesce non sia argento, l’acqua del mare racchiude però sempre del cloruro
d’argento, e il pesce è in pratica solo una lastra di gelatina.
Ora, ci sono altre cause oltre quelle chimiche, per queste riproduzioni grafiche
della natura. Così il leopardo ha la pelle coperta di macchie che somigliano a
orme di gatto o di cane, con le cinque dita della zampa anteriore. Sarà forse
accaduto che una femmina gravida, da tanto tempo, fosse attaccata da cani o da
gatti, e che i suoi piccoli abbiano ricevuto le macchie o le ‘voglie’, che
l’embriologia riconosce?
Haeckel racconta di un toro che, avendo perso la coda nella porta della stalla,
procreò una razza di bovini senza coda. Il caso nelle origini delle specie…
Io non avevo mai visto la Testa di Morto o Acherontia Atropos, la farfalla col
cranio umano sul dorso, fino a quando non la comprai da un naturalista. Stupito
di vedere l’immagine molto più distinta di quanto non avrei creduto, mi misi a
studiare l’animale. E lessi: I Bretoni dicono che essa è presagio di morte.
Emette un grido lamentoso se disturbata; il bruco si nutre di solanacee, di
gelsomino, di mela spinosa ovvero Datura Stramonium, e sviluppa la sua
crisalide sprofondata nel terreno dentro un guscio agglutinato.
Ecco una quantità di cose in comune con la morte: il canto lugubre; la mortale
bevanda di Stramonio; la sepoltura del bruco… Lettore: Non ho natura
superstiziosa, però quando, dopo aver raccolti questi dati, caddi su Réaumur,
il celebre fisico e studioso degli insetti, il quale racconta che la Testa di
Morto appare periodicamente e soprattutto durante le grandi epidemie, mi
capirai se ho meditato sulle abitudini della farfalla e sui suoi rapporti con
la sua macabra divisa. Intanto, il bruco si nutre di Solanina e Daturina, due
alcaloidi vegetali apparentati con la morfina, e però anche molto vicini ai
veleni cadaverici, le ptomaine e le leucomaine. Questi veleni esalano, tra gli
altri, odori di gelsomino*, di rosa e di muschio**.
Ci sono delle piante dette di cadavere (Arum, Stapelia, Orchis, ecc.) che
puzzano di cadavere, hanno colore cadaverico e attirano gli insetti che si
nutrono di carogne. Non è logico che la Testa di Morto visiti i luoghi dove
infieriscono epidemie e dove si trovano corpi in decomposizione? Inoltre , la
Solanina è un veleno narcotico. Sarà per questo che la farfalla dorme giorno e
notte, e vegeta e si riproduce solo al crepuscolo?
E la Daturina contiene i due alcaloidi Atropina e Iosciamina; ora l’atropina
della belladonna dilata le pupille, o almeno rende insopportabile la luce del
giorno. Non sarà forse questa la causa delle abitudini crepuscolari della Testa
di Morto, la farfalla che teme il sole, e tuttavia è costretta a dormire la
notte, per l’effetto soporifico della Iosciamina? Così sembra. Ora la
Iosciamina, il veleno del Giusquiamo, ha come effetto negativo secondario che
la vittima vede gli oggetti ingranditi (megalopsia).
Immaginiamoci allora una Testa di Morto, condotta dal suo incerto odorato nei
cimiteri, negli immondezzai, intorno ai patiboli e alle forche, guardare,
formidabilmente ingranditi, dei crani umani, e domandiamoci seriamente se
questo non possa agire sui nervi d’una farfalla, impressionabile al punto di
gridare lamentosamente quando la si molesta, una farfalla doppiamente eccitata
dalla foia e dal veleno inebriante del Giusquiamo; una doppia ebbrezza,
equivalente alla grande isteria.
Lo ammetto, il passo è lungo, ma il grande naturalista che ha mostrato la
somiglianza fra farfalle e fiori, e credeva alla somiglianza protettrice fra le
piante stesse, non sarebbe indietreggiato davanti a una conseguenza naturale e
logica, visto l’alto grado di sviluppo psichico e morale degli insetti.
Dopo aver scritto queste righe, leggo in Bernardin de Saint-Pierre che la Testa
di Morto è chiamata Ahi, a causa del canto doloroso che emette. Che suono,
questo « ahi »! Il grido di dolore di tutti i popoli della terra; il grido del
tardigrado che si lamenta della sua amara esistenza; il grido di rimpianto
d’Apollo sulla morte di Giacinto, i cui tratti poi disegnò sul calice del fiore
che porta il nome dell’amico morto.
Ora, c’è un altro fiore sul cui calice è tracciato quell’« ahi » che tutti
abbiamo letto, anche prima di saper leggere. E’ la Speronella coltivata, il
Delphinium Ajacis, che Ovidio, il più audace dei trasformisti, pretende nata
dalla terra dove il sangue di Ajace fu sparso. Il cianuro della Speronella blu,
generata dal ferro e dal sangue di Ajace: Ferrocianuro! Si direbbe che Ovidio
conoscesse la chimica.
Ma Bernardin aggiunge: « La polvere delle ali di questa farfalla è molto nociva
per gli occhi ».
Ho esaminato questa polvere al microscopio, trattandola con reagenti che hanno
segnalato un alcaloide vegetale; dunque come l’atropina, la Stricnina,
eccetera, il che non è più straordinario delle Cicindelidi che secernono la
Triethylfosfina, o delle Cantaridi che producono la cantaridina, simile alla
digitalina.
Se mi atteggio a scettico contro i tentativi di trovare un rapporto tra la
decorazione della Testa di Morto e il suo modo di vivere, conosco molto bene il
metodo del quale mi sono già servito. Da principio dico: è un capriccio della
natura, senza importanza. D’accordo! Ma perché non riconoscerle il diritto al
capriccio, alla natura, che sa generare una nuova razza bovina dalla negligenza
d’un bovaro che ha chiuso la porta sulla coda d’un toro? Oppure, ammesso il
principio del capriccio, riconosciamolo anche in questo caso: sarà un capriccio
ma non è un miracolo che un insetto adatti la sua veste all’ambiente, visto che
la farfalla detta Foglia Morta ha preso l’apparenza d’una foglia secca, a scopo
mimetico-difensivo. Non è un miracolo, mentre la trasformazione del baco in
bozzolo, questo sì che è un miracolo, equivalente alla resurrezione dei morti.
« Infatti, durante la fase d’immobilità della ninfa presso gli insetti, i
tessuti della larva subiscono l’istolisi, cioè la degenerazione grassa, ossia
necrobiosi filogenetica ».
Traduciamo: il bruco nella crisalide subisce lo stesso processo del cadavere
nella tomba, dove viene trasformato in grasso ammoniacale. Ora, necrobiosi
significa morte-vita, e i fisiologi dicono: necrobiosi è la forma di morte che
precede la degenerazione caseosa (tubercolizzazione).
E come è possibile, il bruco è morto nel bozzolo, visto che s’è trasformato in
una massa grassa informe, e ciò nonostante vive, anzi risuscita in una forma
più alta, più libera e più bella. Che sono dunque, la vita e la morte? La
stessa cosa! Pensate, se i morti non sono morti, e l’indistruttibilità
dell’energia non è che l’immortalità!
Ciò che qui va innanzitutto osservato, è una dilatazione del cuore, una
tracotanza dello spirito divenuto cosciente delle proprie qualità di
chiaroveggenza e di penetrazione. L’autore si fa uno col creatore; ha cooperato
alla creazione dell’universo, come penserebbe un vero panteista. Allo scopo di
completare il quadro del caos nella mia anima, riproduco qui i miei studi
funebri, nei quali il mio io, coltivato nella solitudine e nelle sofferenze,
torna a una vaga nozione di Dio e dell’immortalità.
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* Ecco il gelsomino [ N.d.A].
** Ci sono dei bruchi del genere Sphinx che odorano di muschio [ N.d.A].
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